Cambiamenti climatici, Mediterraneo a rischio – Vincenzo Iommazzo

Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC), organismo delle Nazioni Unite fondato nel 1988 allo scopo di studiare il riscaldamento globale,  non cessa di lanciare allarmi. Periodicamente rende noti rapporti sullo stato dei mari e dei ghiacci ai poli e sulle montagne, che meritano di essere presi in considerazione da istituzioni e da ambientalisti di tutto il mondo.

Per quanto riguarda il Mare Nostrum, da tempo non in ottima salute, ci aiuta a saperne di più il dossier del WWF “La crisi climatica nel Mediterraneo: alcuni dati”.

Come noto, Il Mediterraneo è un mare relativamente chiuso, connesso con l’Oceano Atlantico  tramite lo stretto di Gibilterra e con il Mar Rosso tramite il Canale di Suez, oltre che in comunicazione con il Mar Nero attraverso lo stretto del Bosforo.

Misura scarsa profondità, in media 1.500 m., quella massima è poco più di 5.000 m. presso le coste del Peloponneso, quindi le sue acque si riscaldano a tassi superiori rispetto a quelli degli oceani. La temperatura delle acque superficiali nell’ultimo trentennio è aumentata anche di 1,8 gradi, raggiungendo in estate talvolta i 30 °C, mentre quella delle acque profonde di 0,2 gradi e oltre, livelli comunque preoccupanti per l’ecosistema abissale.

A causa dell’aumento di  temperatura, nel Mediterraneo sono comparsi e si sono sviluppati organismi tipicamente tropicali. Su circa 17mila specie, si calcola che mille siano aliene, cioè originarie di altre zone del mondo, portate da imbarcazioni o da attività umane e poi sviluppatesi grazie al clima favorevole, in competizione con le specie già presenti nel nostro mare, a loro volta già sofferenti per varie cause. Quello che si potrebbe verificare sono morie di massa della fauna marina in diversi ambiti, soprattutto in quelli ipossici cioè carenti di ossigeno.

A questo si aggiunge il fenomeno dell’acidificazione, un effetto diretto dell’incremento dell’anidride carbonica (CO2) in atmosfera che si scioglie in parte nelle acque marine trasformandosi in acido carbonico (H2CO3) e provocando una diminuzione del PH, con effetti gravi su alcuni tipi, soprattutto quelli che presentano gusci calcarei come conchiglie, molluschi, plancton calcareo e il corallo rosso.

Per le caratteristiche intrinseche di questo mare, si capisce quindi che la notevole biodiversità presente nel Mediterraneo è vulnerabile rispetto a cambiamenti climatici sia pure “moderati”:  anche se l’aumento delle temperature si limitasse a 2 °C, quasi il 30% della maggior parte dei gruppi di piante ed animali analizzati dagli specialisti sarebbe a rischio. Purtroppo l’Accordo di Parigi del 2015 sul clima non sta dando i risultati sperati, anzi, sulla base delle dichiarazioni di intenti di molti dei Paesi coinvolti, da qui al 2030 le emissioni aumenterebbero sia pure di poco. In questo caso, probabile addio al mantenimento della attuale biodiversità sia in mare che in terra.

In particolare nel Mediterraneo, continuando con gli andamenti correnti, senza cioè una decisa diminuzione delle emissioni di gas serra, la metà della biodiversità della regione andrà persa. Sono a rischio molti animali, maggiormente le tre specie di tartarughe marine di cui la più diffusa è la Caretta-caretta e le ventuno specie di cetacei, di cui otto stabili, tutte in sofferenza già per altri tipi di impatto antropogenici.

L’innalzamento delle temperature causerà nel bacino periodi di siccità non solo in estate, con potenziali stress da calore per gli ecosistemi più sensibili, ma anche per le popolazioni che vivono nella regione, per le attività di pesca e per il venir meno delle   protezioni dall’erosione e dalle inondazioni delle aree costiere. Per avere un’idea di massima della negativa ricaduta economica su un settore significativo, si è calcolato che le risorse generate dalla sola pesca nel Mediterraneo ammontano a un valore annuo di circa 500 miliardi di euro.

La prof.ssa Rachel Warren del Tyndall Center con sede nel Regno Unito, leader nelle indagini sui cambiamenti climatici, ha dichiarato: “La nostra ricerca quantifica i benefici per mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e vegetali che derivano dalla limitazione del riscaldamento globale a 2 °C in 35 aree tra le più ricche di biodiversità al mondo, tra cui il Mediterraneo. Senza una politica per il clima perderemo il 50 per cento delle specie di questi territori.  Tuttavia, se il riscaldamento globale si limitasse a 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, questo rischio si ridurrebbe al 25% e, presumibilmente, ancora di più con un limite inferiore a 1,5 °C.”.

Tocca ai governi e all’opinione pubblica dei 450 milioni di individui presenti nei 25 Stati bagnati dalle acque del Mediterraneo raccogliere le sollecitazioni che arrivano da studiosi e ricercatori di ogni parte del pianeta per preservare la meravigliosa specificità di un ambiente, culla di alcune tra le più antiche civiltà e oggi florido centro di scambi culturali e commerciali tra popoli industriosi, immersi in bellezze naturali e artistiche uniche al mondo.

 

Articolo tratto da SalernoNews24